La Manifattura Tabacchi e il ruolo delle donne
In questo articolo parleremo della Manifattura Tabacchi di Bari, recentemente protagonista della giornate del FAI di Primavera. Durante la visita è stato possibile ricostruire la storia dell’edificio e, soprattutto di chi ci lavorava.
La Manifattura fu costruita nel 1913 per volere del Re Umberto II. Fu la prima fabbrica ad offrire lavoro alle donne, ma sostanzialmente perché era un lavoro in cui bisognava avere pazienza e precisione, era questo il motivo per cui venivano preferite le mani piccole delle donne a quelle degli uomini. Erano impiegate più di mille donne (chiamate le tabacchine) per garantire una produzione giornaliera di oltre 800 Kg tra sigari toscani, sigarette nazionali ed indigene.
Per essere assunte, già dall’età di 17 anni, bastava una semplice visita medica per dimostrare di essere in salute. C’era tanto da lavorare si entrava al mattino al suono della campana della fabbrica e si usciva nel pomeriggio.
Il lavoro veniva suddiviso in squadre, c’era chi per esempio si occupava della pulizia e la selezione delle foglie di tabacco, chi usava una terribile colla in cui si intingevano le dita per sigillare i sigari ed era gelida (in inverno era molto dura e non si poteva riscaldare altrimenti si rovinava). Le operaie erano quotidianamente a contatto con foglie di tabacco in fermentazione, gli ambienti dovevano essere umidi affinché il tabacco non seccasse e spesso, per il caldo dell’estate, molte di esse svenivano e molte purtroppo morivano prematuramente per le malattie causate dal tabacco.
Lo stipendio non era fisso si lavorava a cottimo dovevano produrre 1500 sigari al giorno. Se non ci riuscivano, ricevevano solo qualche spicciolo.
Possiamo trovare testimonianze di donne impiegate nella Manifattura grazie ad un romanzo di Giuditta Abatescianni. La stessa racconta che quando è entrata nella Manifattura aveva 23 anni e un bambino piccolo che lasciava dalla suocera quando andava al lavoro, questo per poter intraprendere una carriera lavorativa. Poter lavorare in questa Manifattura, all’epoca, aveva un grande vantaggio perché le donne venivano impiegate come operaie in una fabbrica ed era una vera rivoluzione nel mondo lavorativo, specialmente al sud. In questo romanzo si parla di ciò che alcune donne hanno dovuto subire pur di poter avere un lavoro che le rendesse autonome economicamente o per avere più soldi per crescere una famiglia numerosa. A volte erano costrette a nascondere le gravidanze, perché anche se c’era una legge che le tutelava gli ultimi due mesi, molte non ne potevano usufruire altrimenti avrebbero perso dei soldi. Anche se dopo la nascita nella Manifattura i bambini restavano alla maternità sino ai 3 anni (una specie di asilo nido posto all’interno dell’edificio), dove c’erano delle donne che se ne prendevano cura e ogni due ore scendevano le mamme per allattarli. Questo credo sia un aspetto positivo, sia per i bambini che per le mamme.
La signora Abatescianni racconta alcune storie, per esempio la storia di Lisetta, una donna che lavorava solo il periodo estivo, sposata e con quattro figli (il marito lavorava in Germania): un giorno il capo la chiamò nel suo ufficio minacciandola di licenziarla, lei pianse e lui la violentò (era anche ubriaco). Rimase incinta ed era una gran vergogna per questo voleva abortire, ma la Maestra (l’operaia più esperta a cui veniva affidata un’operaia ad inizio lavoro) la convinse a tenere il bambino e che alla nascita lo avrebbe adottato il capo insieme alla moglie che era sterile, ed in seguito sarebbe stata assunta a tempo indeterminato. Al termine della gravidanza nacquero 2 gemelli, un maschietto e una femminuccia, la moglie del capo ringraziò Santa Rita per questo dono. L’Abatescianni conclude dicendo che vissero tutti felici e contenti, ma io penso che sia molto triste quanto accaduto in questo racconto. C’è la violenza di un uomo su una donna indifesa, una donna che accetta il tradimento del marito pur di avere dei figli e una donna violentata costretta a partorire e privarsi di chi ha messo al mondo, in cambio di un posto di lavoro.
I ruoli che hanno avuto la maggior parte delle donne, sono tutti simili tra loro in molte fabbriche di tutta Italia, per esempio alcune per avere ruoli privilegiati diventavano amiche intime dei capi di reparto.
Tra i vari racconti ho notato che la parte positiva era molto limitata rispetto a quello che molte donne hanno dovuto subire e come sempre per la donna non è semplice e facile svolgere un’attività lavorativa. C’è sempre l’umiliazione, i sacrifici familiari, la sottomissione, ma posso dire che comunque molte donne riescono a combattere per i propri diritti, altre invece sono più deboli e più soggette a violenze. Inoltre, c’era anche l’impossibilità di studiare per molte ragazze, dato che già a 17 anni lavoravano. Questo però può avere anche un aspetto positivo, perché non tutte le famiglie avevano la possibilità di far studiare i propri figli e il lavoro almeno permetteva alla ragazza di aiutare la famiglia a livello economico.
Oggi spero e credo che le donne abbiano ruoli di prestigio sui posti di lavoro, grazie alle loro capacità, alla loro intelligenza e al loro impegno per poter emergere in tutti i campi.
Miriam Di Pace